L’arringa dell’ex ministro della giustizia, l’avvocatessa Paola Severino, ha esposto le ragioni dell’allora direttore generale di Eni e oggi a.d. Claudio Descalzi, per il quale ipm hanno chiesto 8 anni.
«Il dibattimento ha fatto crollare una a una le suggestioni dell’accusa senza che l’accusa nemmeno cercasse di tenere il punto dopo ogni crollo, peraltro mantenendo per tutto il processo una certa ritrosia a indicare tempi e modi delle tangenti, e persino chi, con chi, dove e quando avrebbe pattuito l’accordo correttivo». Al processo Eni-Nigeria sul miliardo e 92 milioni di dollari pagati nel 2011 da Eni e Shell al governo della Nigeria per acquistare la concessione petrolifera «Opl-245» detenuta in concreto dall’ex ministro del Petrolio Dan Etete, che anni prima se la era autoattribuita dietro lo schermo-prestanome della società Malabu, l’arringa della professoressa Paola Severino espone il punto vista difensivo dell’allora direttore generale di Eni e oggi amministratore delegato Claudio Descalzi, per il quale i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno chiesto in requisitoria 8 anni di carcere per corruzione internazionale.
Lo specchio olandese
Alla Procura, che valorizza le mail sequestrate in Olanda ai manager Shell, e da esse ricava elementi di consapevolezza in capo a Eni delle sottostanti tangenti a politici nigeriani, Severino obietta che in esse vi sarebbe al piú «la rappresentazione unilaterale di Shell che non é detto corispondesse alla percezione di Eni»: e «visto che i pm definiscono le mail di Shell “lo specchio olandese”, ricordo allora che nella pittura fiamminga lo specchio olandese era appunto lo specchio deformante». I rapporti mail di Descalzi con il suo omologo Malcolm Brinded in Shell «non appaiono mai rapporti complici ma dialettici», per la difesa a volte anche di contrapposizione nel fare gli interessi delle proprie societá, a volte invece di comunanza rispetto al nutrito contenzioso pregresso su OPL245 in Nigeria sin dal 2007. Tra queste mail la legale annovera anche quella che «la Procura ha suggestivamente chiamato “la formula della corruzione”» (nella determinazione del prezzo da offrire) contenuta in due mail scambiate all’interno di Shell da manager Shell, e di cui i pm sottolineano anche la frase sul «prezzo minimo accettabile da tutti in Nigeria». Per Severino, invece, gli 85 milioni in questione non sarebbero stati la quota di parcella al mediatore Emeka Obi di cui gli acquirenti si facevano carico, «ma la quota che Shell doveva aggiungere per arrivare alla propria metá del prezzo» da versare insieme alla metá di Eni.
Il ruolo dell’intermediario Emeka Obi
«Non essendoci prova di dazioni a pubblici ufficiali, capisco che la presenza di Emeka Obi come intermediario di Eni nella corruzione sia necessaria all’accusa», premette l’ex ministro della Giustizia a proposito del coimputato nigeriano che nel 2018 scelse di essere giudicato con rito abbreviato insieme a Gianluca Di Nardo e fu condannato in primo grado dalla gup Giusi Barbara a 4 anni e 140 milioni di confisca. «Ma questa tesi – ritiene la professoressa – é smentita sia da Agaev (che ha testimoniato di essere stato lui a introdurre Obi tra fine 2008 e inizio 2009, come consulente rispetto all’incarico ricevuto dalla societá venditrice Malabu), sia dalla cronologia sequestrata a Obi, il quale ha sempre cercato di giocare una partita in proprio e di diventare colui che trovava un compratore». Per la difesa di Descalzi, «Eni non é mai stata succube delle richieste di Obi, che pure agiva informalmente per conto della societá venditrice Malabu giá dal dicembre 2009, anzi sin dall’inizio ha rifiutato ció che Obi chiedeva in quanto non era in linea con le prassi aziendali».
La cena milanese e gli incontri
C’é peró la cena in un albergo milanese il 4 febbraio 2010 di Descalzi con Obi e l’altro mediatore russo Ednan Agaev (e con Etete sopraggiunto): qui Severino ritiene che «la valenza probatoria sia pari a zero se si colloca la cena nel contesto cronologico. La cena avvenne dopo che Obi aveva avuto in esclusiva il 27 gennaio 2010 dalla Malabu il mandato formalizzato a vendere, sicché Descalzi nella cena ebbe contatti con persone che in quel momento avevano titolo per parlare con lui. Ognuno dei partecipanti alla cena aveva un legittimo interesse, il mandatario Obi voleva accreditarsi agli occhi del suo mandante Etete e mostrargli che aveva davvero rapporti con il possibile compratore Eni: ma la fase era iniziale, nulla fu negoziato in quella cena perché nulla poteva essere negoziato in quella fase cosí embrionale, in piú la cena duró poco perché Descalzi andó via poco dopo l’arrivo di Etete, di cui non era informato».
L’incontro tra Descalzi e il presidente nigeriano
L’accusa ha molto investito anche sul «presunto incontro segreto nella terza settimana del maggio 2010 tra il presidente nigeriano Jonathan e Descalzi per discutere il ruolo e l’intermediazione di Obi», che non andava bene al governo, incontro accreditato dal coimputato-dichiarante Vincenzo Armanna, l’ex manager Eni che dice di averlo organizzato. Descalzi ha negato che ci sia mai stato, e per Severino questo sarebbe un esempio del «metodo-Armanna, che, come nei servizi di informazione deviati, parte da una circostanza verosimile per rendere attendibile qualcosa che viene falsamente asserito, si prepara e costruisce una storia non per la veritá ma per raggiungere un risultato che si prefigge». Per la difesa di Descalzi, «non soltanto Armanna a riscontro dell’incontro ha invocato lo 007 nigeriano Victor Newfor ed entrambi i due “Victor” ascoltati al processo lo hanno invece smentito, ma soprattutto il riferimento all’incontro tra Jonathan e Descalzi, contenuto nella mail del manager Shell Brinded, documentalmente si riferisce a un incontro che inizialmente era stato sí richiesto con il governo nigeriano e fissato per maggio, ma che poi era stato via via differito al 13 agosto, data in cui si svolse e su un tema diverso da Opl245». Altro incontro sensibile é quello tra Obi e Descalzi il 12 giugno 2010 negli uffici Eni a San Donato sulla chance di acquisto del 100 per cento di Opl245, che per i pm conferma un rapporto privilegiato tra i due e anche tra Descalzi e il presidente Jonathan con il quale Descalzi avrebbe poi dovuto parlare: per Severino, invece, «parlare non vuole dire corrompere» ma «si inserisce nelle normali relazioni istituzionali alla luce del sole».
Sentenza più vicina
«Mai le decisioni riferibili a Descalzi sono state dettate da ragioni che non fossero lecite logiche di mercato nell’interesse di Eni», conclude la professoressa Severino chiedendo la formula piú ampia di assoluzione di Descalzi a fine udienza. Che ha una coda quando il presidente del Tribunale, Marco Tremolada, informa gli avvocati (non autogestitisi nel calendario delle arringhe) che non intende continuare a dedicare una udienza a testa per ogni legale, «tanto piú che ad esempio giá il difensore di oggi, come inevitabile man mano che si stanno svolgendo le discussioni, ha affrontato temi che erano giá stati trattati da precedenti arringhe. Il Tribunale non ha solo questo processo», ha aggiunto Tremolada, stilando un calendario che concluderebbe le 12 rimanenti arringhe fra il 28 ottobre e il 9 dicembre, poi con repliche e sentenza a cavallo dell’anno. Il processo é il primo tenutosi in un padiglione della Fiera di Milano al Portello, che ha messo a disposizione del presidente del Tribunale di Milano, Roberto Bichi, due aule di grandissime dimensioni per i dibattimenti con tante parti che non sarebbe possibile celebrare a Palazzo di Giustizia con le restrizioni anti-Covid.
Fonte Corriere.it