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Tre trimestri in rosso per l’industria petrolifera “Ora servono aiuti anche al nostro settore”

L’appello del presidente di Unem, Claudio Spinaci.

In che misura la pandemia sta pesando sulla stabilità economica del settore dei prodotti petroliferi e come state reagendo?

“Innanzitutto mi preme sottolineare che le industrie del nostro comparto hanno sempre continuato a operare a partire dal primo lockdown di primavera – avvisa Claudio Spinaci (nella foto), presidente di Unem, la nuova sigla dell’Unione petrolifera –. Il nostro è stato annoverato tra i servizi pubblici essenziali a garanzia della sicurezza energetica del Paese per il regolare svolgimento di tutte le attività imprenditoriali e civili e il settore tutto ha risposto in modo estremamente efficiente, confermando il proprio valore strategico per l’intero Paese. Contestualmente, ci siamo trovati a fronteggiare una domanda non solo in profonda contrazione, ma anche soggetta a repentine oscillazioni in funzione dell’andamento della crisi, internamente ed esternamente al Paese. A questo si è aggiunto il crollo delle quotazioni dei prodotti finiti che ha pesato sulla redditività della raffinazione”.

Quanto ha pesato, dunque, l’impatto dell’emergenza sulle vostre industrie?

“Una concomitanza, quella accennata, di fenomeni negativi difficili da governare, che si protraggono da molti mesi e che per questo hanno costretto alcune delle nostre aziende al ricorso, senza precedenti, ad ammortizzatori sociali come la cassa integrazione. I numeri purtroppo sono implacabili. Nei primi 9 mesi dell’anno le attività di raffinazione sono diminuite di oltre 8 milioni di tonnellate rispetto allo scorso anno (solo a settembre si sono perse 1,7 milioni di tonnellate), con tassi di utilizzo degli impianti scesi sotto al 70% rispetto all’81% dello scorso anno e punte minime del 50%, quasi sempre con margini lordi negativi e con perdite di centinaia di milioni di euro”.

Ora siamo dentro la seconda ondata: con quali conseguenze aggiuntive?

“A causa delle restrizioni che ha comportato, i flebili segnali di ripresa degli scorsi mesi stanno svanendo, come hanno confermato gli ultimi dati sull’andamento dei consumi petroliferi di ottobre che hanno fatto segnare un -13%. Particolarmente colpito risulta, ad esempio, il carburante per aerei, con una flessione che potrebbe raggiungere il 70% rispetto all’anno precedente, mentre quello navale, a parte la crocieristica, sembra quello meno colpito, con una diminuzione ‘solo’ del 10%. Per quanto riguarda i soli carburanti, a novembre ci attendiamo una nuova e ulteriore contrazione dovuta alle misure che hanno progressivamente incluso in zona rossa e arancione aree sempre più ampie del Paese e che nel 2019 hanno rappresentato per il nostro comparto rispettivamente più del 40% e quasi il 35% dei volumi complessivi di carburanti erogati sul territorio nazionale. Nel complesso, per il 2020, credo che la flessione rispetto al 2019 sarà di circa 10 milioni di tonnellate in meno sul mercato interno e di 2,5 milioni di esportazioni”.

La transizione green, dunque, è la chiave anche per il rilancio delle vostre imprese?

“Un’evoluzione che oggi è in pieno compimento e per questo abbiamo deciso di ampliare la nostra area di rappresentanza affiancando i low carbon liquid fuels ai prodotti di origine petrolifera e assumendo una nuova denominazione che riflette sia l’evoluzione dell’attività delle associate, sia i nuovi soci che operano nell’ambito di sviluppo e ricerca dei carburanti decabonizzati”.

La parola-chiave è decarbonizzazione, insomma.

“Siamo impegnati a costruire un futuro che ci porti nel 2050 alla decarbonizzazione dei trasporti attraverso lo sviluppo di carburanti a basso o nullo contenuto di carbonio (LCLF) in cui rientrano i biocarburanti, derivanti da rifiuti o biomasse, e gli e-fuel ottenuti da processi di sintesi tra CO2 e idrogeno. Le nostre raffinerie nei prossimi anni utilizzeranno nuove materie prime (bio, rifiuti, CO2) che affiancheranno il petrolio per decarbonizzare la filiera. La realizzazione dell’intero progetto richiederà uno sforzo industriale senza precedenti, con investimenti stimati a livello europeo tra i 400 e i 650 miliardi di euro”.

Che cosa vi aspettate dalle istituzioni a questo punto?

“Non nascondo che la situazione sia molto delicata. Nel contingente ci preoccupano le scadenze di fine anno che si configurano come un vero e proprio ‘ingorgo fiscale’ da oltre 6 miliardi di euro che le aziende dovranno pagare per le sole accise tra versamenti e acconti per imposte non ancora incassate. Quello che ci aspettiamo nel breve dal governo, quindi, è un sostegno in termini di liquidità, oltre al posticipo di alcune di queste scadenze, almeno per il 2021: misure che avrebbero peraltro un impatto pressocché nullo sul bilancio dello Stato”.

Fonte quotidiano.net – Articolo di Raffaele Marmo

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