Le recenti dichiarazioni del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani in merito agli “aumenti irragionevoli” dei prezzi dei carburanti, che lo hanno indotto a parlare di una “colossale truffa in atto”, hanno comprensibilmente suscitato un vespaio di reazioni e indotto la Procura di Roma ad aprire un’indagine. Dal canto nostro, ci hanno stimolato a cercare di capire i meccanismi che portano alla formazione del prezzo alla pompa, sentendo gli addetti ai lavori sia tra i gestori, sia tra chi si occupa di scenari energetici. Del resto, con il prezzo del petrolio in – sia pur leggera – flessione, la domanda che tutti (legittimamente) si pongono è: quanto tempo ci metteranno a scendere anche i prezzi alla pompa dei carburanti? Stando a quanto si è visto ciclicamente in casi simili, anche se non in presenza di picchi così elevati come gli attuali, ci vorranno due-tre giorni prima di poter assistere a un calo significativo. Salvo, naturalmente, che non intervengano altri rialzi del costo del greggio sui mercati, dovuti alle tensioni internazionali. È, questa, una dinamica consolidata, che vede le società petrolifere seguire con una certa solerzia gli andamenti al rialzo del mercato del greggio e, invece, assecondare con maggiore flemma le sue flessioni. Di questa dinamica non beneficiano però i gestori delle singole stazioni di servizio, perché, nella maggiori parte dei casi, secondo quanto sostengono le associazioni di settore, il loro margine di guadagno non viene calcolato in percentuale sul prezzo del carburante effettivamente erogato, ma è fisso: “Il gestore di un impianto”, spiega Moreno Parin, coordinatore dei Gestori carburanti di Treviso ed esperto del mercato, “ha un margine medio di 3,5 centesimi di euro al litro di carburante; significa che, su un rifornimento di 50 euro, nelle sue tasche restano dai 75 ai 90 centesimi lordi, dai quali bisogna detrarre le tasse e 30 centesimi di commissioni, per il pagamento con carta di credito, cosa che ormai avviene nel 70% dei casi”. A questo va aggiunto il fatto che il carburante stivato nelle cisterne degli impianti non è presente nelle cisterne, come ha sostenuto qualcuno, da un mese e più, da quando cioè poteva anche essere stato pagato a prezzi molto più bassi di quelli attuali: il rifornimento avviene in media ogni quattro giorni, due per gli impianti con erogato più elevato, fino a sette per quelli che lavorano di meno. Le differenze tra il prezzo pagato dal gestore e quello richiesto al cliente si misurano quindi nell’arco di pochi giorni, non di settimane o di mesi. Stiamo, però, parlando delle cisterne dei singoli impianti, cioè solo della parte finale della catena della distribuzione, a monte della quale ci sono meccanismi ancora più complessi.
Così nasce il prezzo
Proviamo, allora, a ragionare in termini più ampi, risalendo nella catena. “Il mercato petrolifero”, spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, “prende come riferimento l’andamento dei carichi di benzina sul mercato spot, il cosiddetto Platts, che si tramuta in valore al litro e nelle relative variazioni: a questo importo si aggiungono i costi relativi ai trasporti, alle scorte e al margine del gestore, per arrivare al prezzo al netto delle tasse. A quest’ultimo bisogna aggiungere l’accisa per definire l’importo sul quale si calcola l’Iva al 22%, arrivando infine al prezzo alla pompa”. Per inciso, in questo modo si paga una tassa (l’Iva) anche su una tassa (l’accisa), secondo una consolidata assurdità del sistema fiscale italiano. Tutti i valori citati sono in genere fissi, tranne quello del prezzo del prodotto sui mercati internazionali, soggetto a fluttuazioni. Che, nel lungo periodo, secondo Tabarelli “si compensano, essendo impercettibili quando i prezzi sono stabili (come un anno fa) e molto più evidenti quando i mercati sono turbolenti come adesso”. Quindi, secondo questa interpretazione, le compagnie petrolifere stanno accumulando guadagni in questa fase, ma hanno perso qualcosa in passato e lo perderanno in futuro, se i cali del costo del greggio continueranno, secondo un andamento ciclico.
Miopia energetica
Per l’esperto, più che per queste periodiche fluttuazioni (che comunque forniscono una base al profitto delle petrolifere) bisognerebbe prendersela con le petrolifere per il fatto che “non fanno più investimenti per garantire livelli di produzione adeguati alla domanda, sulle spinta dei politici e di un’opinione pubblica convinta che si potrà fare a meno del petrolio, del gas e del carbone”. Già durante il primo lockdown dovuto alla pandemia, del resto, molti elementi della filiera petrolifera, a partire dalle raffinerie, sono rimasti chiusi, determinando ritardi produttivi che ancora si ripercuotono sulla disponibilità di materia prima (per esempio, diverse strutture, soprattutto del Sud Est Asiatico, non sono ancora tornate alla loro piena capacità). La domanda, al contrario, è alta e continuerà a salire, mentre la produzione non seguirà lo stesso andamento, creando un gap che può influire negativamente sui prezzi: la situazione attuale dovrebbe servire di lezione per impostare una politica energetica realistica, quando invece c’è chi ne approfitta per invocare l’uscita definitiva dalla dipendenza delle fonti fossili.
Vita quotidiana
Ma come funziona, nel concreto, il meccanismo per la determinazione dei prezzi per il gestore? Parin lo spiega così: “Supponiamo di ricevere oggi il prodotto sull’impianto: un po’ dopo la consegna, al gestore arriva un sms con il quale la petrolifera indica di aumentare da domani il prezzo di un certo importo. Il giorno successivo, con un altro sms, la compagnia comunica al gestore che lo deve aumentare ancora oppure ridurre e così via. Gli accordi tra il gestore e la compagnia non prevedono una moratoria sulla riduzione del prezzo, che deve essere applicata subito oppure in un arco temporale fissato al massimo in due-tre giorni: se il gestore non provvede, incorre in sanzioni, che possono arrivare fino al recesso contrattuale. Al contrario, se il gestore non aumenta il prezzo come richiesto, la società petrolifera non interviene”.
Le pompe bianche
Sempre più numerose sono poi le stazioni di servizio che non utilizzano marchi delle principali società petrolifere, i cosiddetti distributori no logo. In questo caso è l’operatore stesso, che si procura il prodotto dai depositi o dai grossisti, a definire il prezzo alla pompa sui propri impianti in base a quanto ha pagato il prodotto, godendo così di un margine di manovra più ampio: dovrà però tener conto della necessità di posizionarsi sempre a un livello inferiore rispetto ai distributori circostanti che inalberano le insegne delle grandi società, se vuol essere competitivo. È un caso, quindi, di marketing territoriale, nel quale il titolare deve trovare un giusto equilibrio tra il proprio margine e la concorrenzialità.
Fonte quattroruote.it – Articolo di Emilio Deleidi