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La raffineria Isab-Lukoil di Priolo è una bomba a orologeria

Se il governo non trova ora una soluzione all’embargo petrolifero contro Putin, sarà crisi grave per tutta la Sicilia

Un problema di cui dovrà occuparsi il governo nei prossimi mesi, sempre che non cada prima, è il futuro della raffineria di Priolo, la piщ grande d’Italia. Una questione che intreccia le sanzioni per l’invasione dell’Ucraina, l’occupazione e il caro energia. Il 2022 per l’Italia è stato l’anno record per l’importazione di petrolio dalla Russia. La quota di greggio russo era progressivamente scesa dal 19% del 2013 a circa il 10% del 2021, ma proprio la guerra, che avrebbe dovuto far avviare lo sganciamento dalle fonti energetiche di Mosca, ha innescato l’effetto opposto. Secondo i dati Unem, l’ex Unione petrolifera, nel periodo gennaio-maggio 2022 la quota di greggio russo è salita al 17% (+124% rispetto all’anno precedente). A febbraio, prima della guerra, l’Italia importava l’11% di petrolio russo.

Dopo gli acquisti sono iniziati ad aumentare notevolmente, tanto che a maggio la quota è salita al 24% facendo di Putin il nostro principale fornitore di petrolio, e dell’Italia il suo primo finanziatore europeo nel conflitto contro Kiev. Lo nota oggi anche Luciano Capone, in una sua approfondita analisi su Il Foglio. Il dato è ancora piщ impressionante se si considerano gli acquisti via nave: l’Italia non è solo il principale importatore Ue di greggio russo (circa il 30% del totale), ma è l’unico paese che ha aumentato l’import. E non di poco: quasi il 400% in piщ rispetto a febbraio, prima della guerra. La ragione è che da marzo l’Isab, controllata dalla russa Lukoil, può operare solo comprando petrolio russo. Prima non era cosм: la raffineria siracusana aveva un mix di fornitori e utilizzava una quota minoritaria di greggio degli Urali, circa il 30%. Subito dopo la guerra è diventato il 100%. Una conseguenza paradossale delle sanzioni europee.

Sebbene infatti non colpiscano il settore energetico e Lukoil non sia un soggetto sanzionato, le banche – per evitare problemi – hanno tagliato le linee di credito all’Isab perchè facente capo a una società “nemica”. Di conseguenza l’azienda ha potuto far affidamento, non senza problemi, esclusivamente sulle forniture della società madre. Cosм, mentre nel nord Europa l’export russo via nave si è ridotto di due terzi, da noi è quadruplicato proprio per le consegne nel porto della vicina Augusta. L’Italia si trova quindi a importare via mare circa 450 mila barili di petrolio russo al giorno: piщ di Olanda, Polonia, Lituania, Francia, Finlandia, Germania, Svezia e Regno Unito messi insieme. Un incremento di acquisti secondo solo a Cina e India, verso cui il Cremlino è riuscito a reindirizzare circa 500 mila barili al giorno, seppure a prezzo scontato.

L’andamento italiano in controtendenza rispetto agli impegni europei e alla strategia contro Putin è stato tollerato, trattandosi di una evidente conseguenza non intenzionale delle sanzioni, anche se l’esecutivo ha avuto diversi mesi per porvi rimedio. Il problema è che di tempo non ce n’è ancora molto, dato che il sesto pacchetto di misure approvato a giugno farа scattare a fine anno l’embargo per il petrolio russo importato via nave (per quello via oleodotto c’è un’esenzione). Il colmo: con le prime sanzioni la fabbrica priolese si è trovato costretto a importare solo petrolio russo, e con le ultime sarà obbligato a fare a meno totalmente. Ci sono solo 5 mesi per trovare una exit strategy dal vicolo cieco – scrive ancora l’edizione odierna de Il Foglio – allineandosi alla previsione fatta esattamente il mese scorso da Ragusanews.

Lo stabilimento – che denuncia i recenti boicottaggi ingiustificati – dа lavoro a oltre 3 mila persone, tra addetti diretti e indotto, e la questione è anche un tema politico in vista delle prossime elezioni regionali. Oltre all’impatto occupazionale c’è anche quello energetico, perchè Priolo produce energia per l’Isola e ha un’importante capacità produttiva di prodotti raffinati, che già scarseggiano sul mercato. La Regione ha chiesto il riconoscimento di “area di crisi e complessa” per il polo industriale siciliano, ma il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti ha bocciato la richiesta: a suo dire non sussistono le condizioni e non si tratta di un impianto in crisi, tipo Termini Imerese. Anzi, mai come in questo periodo ha avuto lavoro e margini alti. La classica miope visione della navigazione a vista, incapace di considerazioni perfino a breve termine. Chi ha provato a offrire una soluzione è Stefania Prestigiacomo, deputata siracusana di Forza Italia: aveva presentato un emendamento per chiedere la garanzia di un istituto finanziario pubblico – dato che il mercato non lo fa – per consentire all’Isab di comprare, come ha sempre fatto, da altri fornitori.

Ma al Mef c’è scetticismo su questa strada per possibili noie burocratiche rispetto la normativa comunitaria, e alla fine l’emendamento al dl Aiuti si è limitato a istituire un “tavolo di coordinamento” interministeriale per trovare una via d’uscita dal tunnel. L’altra strada possibile, che risolverebbe il problema alla radice, è intervenire sull’assetto proprietario. Che non vuol dire nazionalizzare, cosa che Draghi non ha in mente di fare, anche perchè non pare ci siano agenzie statali in grado di mandare avanti una raffineria. Si tratterebbe, invece, di trovare un acquirente italiano o comunque occidentale, “alleato”, disposto a rilevare l’Isab dalla Lukoil. Un’operazione difficile, perchè richiede un compratore credibile e uno spirito cooperativo da parte di Putin. 

Fonte Ragusanews.com 

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