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Auto elettrica, perché Prodi è contrario (e industriali e sindacati sono con lui)

Per Romano Prodi è un coro di approvazioni. Come se il professore bolognese avesse detto quelle quattro classiche parole («Il re è nudo») che svelano le verità ipocrite, quelle celate da tanti per troppo tempo. E così se il partito dell’automotive italiano era in cerca di un leader o di un portavoce direi che l’ha trovato nei giorni scorsi. Il dubbio, casomai, è un altro: se l’ha individuato fuori tempo massimo oppure no.

L’articolo sul Messaggero

Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dal durissimo articolo comparso sul Messaggero di domenica 19 febbraio nel quale Romano Prodi ha infilato una dietro l’altra una serie di severe critiche alla decisione presa il 14 febbraio dal Parlamento di Strasburgo di condannare definitivamente nel 2035 il motore endotermico, in nome della scelta ambientalista delle automobili full electric. Per l’ex presidente della Ue quella degli eurodeputati, e ovviamente della Commissione di Bruxelles guidata da Ursula Von der Leyen, è una strada che di fatto avvantaggia i concorrenti Usa e Cina, che non è coerentemente green, come sostiene, perché presenta tutta una serie di inconvenienti per quantità e qualità delle materie prime, difficoltà di smaltimento delle batterie e ritardi nell’approntamento dell’infrastruttura di servizio. Una bocciatura piena. In più, ha scritto Prodi, occorreranno ingenti risorse, per un tempo sicuramente non breve, per sussidiare i consumi. La chiusura dell’articolo è ancora più drastica, se possibile: «Forse gli stessi legislatori europei hanno nutrito qualche dubbio in materia quando hanno proposto un riesame nel 2025, ma si tratta di una pezza peggiore del buco perché nel frattempo tutte le grandi decisioni saranno state già messe in atto con la conseguenza di bloccare ogni ricerca per migliorare il funzionamento del motore endotermico».

L’adesione di Brembo

«La posizione presa da Romano Prodi — commenta Alberto Bombassei — è importante non solo per le considerazioni espresse, ma soprattutto per il prestigio di cui il professore gode all’interno della Comunità europea». E per il rapporto di reciproca stima che lo lega al commissario Paolo Gentiloni, aggiungiamo. La soddisfazione del patron della Brembo, del resto, è più che comprensibile visto che è stato uno dei primissimi, se non il primo in Italia, a esprimere i suoi dubbi in un’intervista dell’ormai lontano 27 gennaio 2019 concessa a Paolo Bricco del Sole 24 Ore.«Oggi c’è grande entusiasmo per l’auto elettrica — dichiarò Bombassei —. Nessuno considera però il suo impatto sociale. Se smettessimo di produrre macchine a gasolio o a benzina e facessimo soltanto più auto elettriche perderemmo un lavoratore su tre. Compri il motore, compri la batteria e il 60% del valore dell’auto ce l’hai». E oggi, tre anni dopo, aggiunge: «Le perplessità di Prodi sono tutte condivisibili e ben rappresentate ma sono ancor più importanti perché contribuiscono a farci uscire dagli steccati ideologici. Si tratta solo di buonsenso e non di bandiere politiche». Tutti vogliamo perseguire gli obiettivi di una drastica riduzione delle emissioni di Co2, ma la via migliore è l’innovazione. «E se poi si arriva al risultato attraverso tecnologie e filiere in cui l’Europa può difendere o conquistare un primato, non è meglio? A Bruxelles si sostiene che sarà possibile correggere la rotta nel 2026, ma i costruttori hanno già investito 250 miliardi di euro. La contraddizione è evidente».

Il documento di Federmeccanica

I dubbi avanzati dall’ex premier erano contenuti, in forma diversa, in un documento-pilota firmato lo scorso anno dalla Federmeccanica e dai sindacati di categoria Fim-Fiom e Uilm. Spiega Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim-Cisl: «Nel nostro documento sostenevamo che fosse necessario adottare un criterio di neutralità tecnologica e ora le considerazioni che fa Prodi vanno nella stessa direzione. Peccato però che rischino di essere tardive. Le case automobilistiche non lavorano con l’obiettivo del 2035 ma operano già in prospettiva 2030 e quindi non possono restare a bagnomaria congelando le scelte di investimento».

Il futuro della componentistica

Al centro del tavolo c’è il futuro della componentistica italiana che ha un primato tecnologico e di fornitura che verrà inevitabilmente eroso dal full electric. «Le componenti decisive come batterie e semiconduttori vengono da altre parti del mondo e questo oltre a spiazzarci inevitabilmente creerà problemi di approvvigionamento. Lo stiamo vedendo già adesso con i colli di bottiglia che ci obbligano a fermate produttive alla Sevel e a Cassino, figuriamoci dopo», aggiunge Uliano. Che chiude con un monito al governo Meloni: «Finora non ha speso nulla sull’industrializzazione, si è limitato a confermare gli incentivi al consumo. E invece la politica deve contribuire a dare una prospettiva di trasformazione alla nostra industria delle componenti. Altrimenti avremo la sostenibilità ambientale, ma non quella sociale». I dati parlano chiaro: la filiera dell’automotive è per il 33,5% in Piemonte, il 10,2% in Emilia-Romagna e per il 27,4% in Lombardia, che però a differenza delle altre due non viene considerata una regione a identità motoristica. In termini di addetti vale 161 mila posti di lavoro e l’impatto negativo che il full electric può determinare è stimato nella perdita di 70 mila unità.

La Motor Valley emiliana

Nella Motor Valley emiliana — che comunque ha portato a casa un euroemendamento di protezione/eccezione per il settore lusso del made in Italy, ovvero Ferrari e Lamborghini — la sortita di Prodi non poteva che essere salutata con una standing ovation. Il commento prevalente, però, è che se il Professore «ha drammaticamente ragione, le obiezioni che muove sono politicamente ingestibili», perché nessun partito in Italia impugnerà il voto di Strasburgo. E l’amministrazione regionale dell’Emilia-Romagna cosa ne pensa? Spiega Vincenzo Colla, assessore allo Sviluppo e alla green economy: «Come sempre il professor Prodi ha centrato il problema. E la sua è una valutazione che rimanda alle scelte operate dalla politica. Ma i tempi non consentono ulteriori dilazioni. Se si va nella direzione del full electric nascono fabbriche che sono diverse, per competenze e per i sistemi di automazione utilizzati, da quelle da cui oggi escono i motori endotermici. Se la macchina degli investimenti parte non la si può fermare. O vai verso l’elettrico o verso i biocarburanti e l’idrogeno». Non puoi stare in mezzo.

Le perplessità di Visentin

«Quella di Bruxelles è una scelta boomerang — commenta Federico Visentin, presidente di Federmeccanica e imprenditore del settore — e Prodi conosce troppo bene l’Europa per tacere. Condivido tutte le sue perplessità. Purtroppo ho avuto modo di parlare con alti rappresentanti della Ue e mi sono sembrati dei talebani. E francamente non credo che si possa cambiare tutto all’ultimo miglio. Penso, invece, che dovremmo prendere il coraggio a due mani e mettere al bando il vecchio protezionismo, quello che in tempi passati usammo per la Fiat». Cosa significa in concreto? «Dobbiamo avere in testa che l’obiettivo è salvare la componentistica e allora perché non attraiamo noi in Italia l’investimento di un player cinese? Piuttosto che produrre le macchine elettriche a basso costo da loro e importarle, non è meglio che vengano qui? Un Paese capace di fare politica industriale farebbe questa scelta e obbligherebbe il nuovo arrivato, in cambio del semaforo verde, a far leva sul sistema della fornitura italiana. In questo modo salveremmo competenze e posti di lavoro».

Fonte corriere.it. –  Articolo di Dario Di Vico

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