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«Via carbone e petrolio, avanti con Gpl e combustibili bio: così la pianura padana respirerà»

Emissioni industriali. Riscaldamento. E trasporti legati alla produzione. Riccardo De Lauretis dell’Ispra spiega come nasce la concentrazione di veleni nella valle del Po. E cosa si può fare per migliorare la situazione.

È una delle zone più industrializzate del mondo. E anche una delle più inquinate. Le grandi ciminiere contribuiscono all’inquinamento atmosferico della pianura padana. A queste si devono però aggiungere i gas prodotti dai motori e il particolato derivato dagli pneumatici del traffico ininterrotto di camion che trasportano materie prime e prodotti. Cosa si può fare per diminuire l’impatto delle industrie sull’aria che respirano i cittadini del Norditalia? Ne abbiamo parlato con Riccardo De Lauretis, responsabile dell’area per la valutazione delle emissioni, la prevenzione dell’inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

Per ridurre l’inquinamento atmosferico nelle città della pianura padana possono essere utili misure contro gli scarichi industriali delle zone limitrofe? E quali sarebbero più efficaci?
«Le emissioni degli impianti industriali sono già regolamentate dalle specifiche Autorizzazioni integrate ambientali di livello nazionale e regionale o dalle Autorizzazioni uniche Ambientali regionali a secondo della dimensione degli impianti. Anche il monitoraggio delle emissioni, così come il monitoraggio della implementazione delle prescrizioni ambientali intervenute a seguito delle visite ispettive, sono di competenza nazionale e/o regionale a seconda della dimensione dell’impianto. Qualsiasi modifica all’impianto o al suo stato di esercizio differente da quanto autorizzato è soggetto a verifica ed eventuale ulteriore autorizzazione».

Ma queste regole generali tengono conto della concentrazione di impianti nella pianura padana? E delle condizioni climatiche, già infelici prima dell’inizio della crisi climatica?
«Per i grandi impianti si è già intervenuto nel passato e si continua ad intervenire nella fase autorizzativa assegnando limiti emissivi al camino inferiori a quelli previsti dalla legge proprio in considerazione del potenziale impatto sul territorio in termini di qualità dell’aria. Inoltre gli scarichi emissivi ai camini avvengono in quota e generalmente hanno un impatto sulla qualità dell’aria sulle aree urbane inferiore a quello dei trasporti o riscaldamento salvo contribuire, in particolare nel bacino padano, in condizioni atmosferiche particolari come tutte le altre emissioni sul territorio alla concentrazioni degli inquinanti in atmosfera».

In un rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente si legge che «l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili e l’attuazione dei più ambiziosi obiettivi della direttiva sulle emissioni industriali comporterebbe sostanziali riduzioni delle emissioni: 91 % per il biossido di zolfo, 82 % per il particolato e 79 % per gli ossidi di azoto». È un’ipotesi realistica o solo un libro dei sogni?
«Nell’Unione Europea vi sono ancora molti impianti di produzione di energia elettrica e industriali alimentati a carbone o ad olio combustibile. In Italia la maggior parte degli impianti produttori di energia e industriali sono alimentati a gas con turbine molto efficienti. Ovviamente vi sono ancora margini di miglioramento e l’insieme delle normative ambientali europee, incluse quelle dedicate alla riduzione delle emissioni di gas serra, contribuiranno ad un ulteriore efficientamento degli impianti o a una progressiva riduzione delle emissioni degli inquinanti atmosferici. Ad esempio ad oggi i principali impianti emettitori di biossidi di zolfo sono le centrali a carbone e le raffinerie: per le prime è previsto il “phase out” entro il 2025 (una cancellazione che potrà avvenire forse con un lieve ritardo determinato dalla situazione attuale di incertezza sugli approvvigionamenti energetici). Le raffinerie di petrolio invece sono destinate a trasformarsi in produttori di biocombustibili a seguito della progressiva trasformazione del parco veicolare, che è il principale utilizzatore dei prodotti petroliferi».

Il particolato è prodotto anche dai camion, sia per combustione che per usura degli pneumatici. L’Italia ha un grave ritardo nel trasporto su treno e un uso anomalo del trasporto su gomma. Come si può affrontare questo aspetto del problema?
«Per quanto riguarda le “emissioni esauste”, cioè quelle prodotte direttamente dalla combustione, il progressivo rinnovo del parco circolante con l’introduzione delle tecnologie più moderne così come l’introduzione di veicoli alimentati a gas o GPL comporta una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto e particolato (Pm10). Le emissioni “non exaust”, cioè quelle dovute non alla combustione ma all’usura di freni e pneumatici i dell’asfalto, non sono ancora pienamente regolamentate e sono collegate al trasporto di passeggeri e merci su gomma qualsiasi sia la forma di alimentazione dei motori. Le politiche intraprese finora per spostare il trasporto dalla strada alle altre modalità non hanno avuto grande successo ma sono inevitabili se si vorranno rispettare gli obiettivi di mitigazione delle emissioni a medio e lungo termine».

L’Unione Europea ha posto limiti all’inquinamento nelle città, e le città che superano questi limiti devono pagare multe. Ma le multe sono un deterrente efficace? In realtà, almeno in Italia, le città più inquinate sono anche quelle più ricche, che quindi possono permettersi di pagare le multe e continuare a inquinare come prima. Forse premiare i comportamenti positivi funzionerebbe meglio?
«Soprattutto per quanto riguarda le tematiche attinenti ai cambiamenti climatici, le grandi città hanno aderito a progetti internazionali come il Patto dei Sindaci, C40 o altri che prevedono azioni e misure specifiche da adottare sul territorio cittadino. Questi impegni, nati per ottenere una riduzione delle emissioni di gas serra, quasi sempre hanno benefici ulteriori di riduzione delle emissioni degli inquinanti atmosferici (politiche win-win) soprattutto per le politiche e misure di regolamentazione del traffico urbano e del riscaldamento degli edifici. Sicuramente dare pubblicità ai comportamenti o alle iniziative più virtuose potrebbe essere di incentivo e di stimolo per le altre amministrazioni comunali. È quello che fanno diverse associazioni ambientaliste attraverso la presentazione delle classifiche dei comuni o elle regioni più virtuose. Vedo più complicata l’istituzione di un meccanismo di premialità da parte delle istituzioni per la difficoltà di stabilire le condizioni di partenza e di arrivo, e per la elevata disomogeneità tra le città a secondo di dove si trovano sul territorio. Sarebbe possibile invece identificare degli indicatori minimi di qualità che se non rispettati limitino o impediscano l’accesso a fondi e finanziamenti».

Fonte espresso.repubblica.it  –  Articolo di Angiola Codacci-Pisanelli

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