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Ore di file ai distributori e boom del mercato nero: Cuba travolta dalla crisi del petrolio. Chi ha bisogno di benzina la paga 10 volte di più.

La gente comune a Cuba passa più di un terzo della sua vita in coda. Dopo il periodo especial negli Anni 90, in seguito al crollo dell’impero sovietico a cui l’isola era legata indissolubilmente, questa tendenza si è cronicizzata in senso peggiorativo, specie dopo la fine del secondo mandato di Obama e l’ascesa alla presidenza di Trump che ha stracciato le riforme del suo predecessore, compresi i timidi tentativi di porre fine al secolare embargo statunitense.

La novità è che dallo scorso anno questa piaga, circoscritta alla difficoltà di reperire i generi alimentari assegnati nella libreta de abastecimiento statale – un sistema di razionamento che garantiva al cittadino il fabbisogno minimo a prezzi popolari – si è estesa al carburante. E le famigerate code cubane oggi coinvolgono anche i mezzi di trasporto, non solo i pedoni.

Il mistero del petrolio cubano

Eppure, di petrolio crudo Cuba ne ha. E di buona qualità. Si stima che le sue riserve geologiche mappate nella ZEE (Zona Económica Especial) davanti al Golfo del Messico ammontino a 10.000 milioni di barili concentrati nella provincia di Mayabeque, lungo l’autostrada che da La Habana Del Este arriva a Matanzas. È greggio molto pesante, che giace in profondità nel sottosuolo, per cui le tecniche si sono dovute evolvere negli anni per poter sfruttare almeno il 70% dei giacimenti disponibili.

Poiché sono stati perforati anche pozzi a mare, l’estrazione non convenzionale è preferita: prevede a determinate profondità una perforazione orizzontale attraverso cui si creano micro-canali nei quali viene pompata acqua a pressione elevata che, generando vapore, fluidifica gli idrocarburi facilitando la risalita in superficie. Sulla via del petrolio si trovano i serbatoi di raccolta della Cupet (Cuba Petróleo Union), la centrale termoelettrica, le molteplici pompe di estrazione disseminate lungo il territorio e le ciminiere della raffineria. Ce ne sono quattro attive a Cuba, ma con frequenti problemi di manutenzione che generano guasti. La principale è la Ñico López, nei pressi della capitale.

Già dopo il litorale di Guanabo, il tanfo del petrolio è insopportabile. Alcuni operatori confermano che per via della pesantezza del crudo e l’inadeguatezza degli impianti di raffinazione, la maggior parte dell’estratto va per la produzione di elettricità e quello che rimane viene venduto al Belgio per quasi 10 milioni di dollari annui. Però Cuba, solo per completare il fabbisogno energetico interno, è costretta a importarne per oltre 70, dalla Colombia e dalla Spagna.

Le cause? Oltre all’embargo c’è la mancanza di sinergia tra Cuba e i suoi alleati storici, Cina, Venezuela e Brasile, tranne la parentesi Bolsonaro. Questa è indispensabile per sopperire alle sue lacune. Con il Venezuela, il regime castrista non è mai andato oltre gli “scambi in natura”: petrolio grezzo e carburante in cambio di personale medico. Il progetto cinese di investire 6 miliardi per rimodernare la raffineria di Cienfuegos nel 2011 non andò in porto, al contrario delle joint venture con Ecuador, Brasile e Venezuela che diedero ottimi risultati.

La recrudescenza dell’embargo verso il Venezuela implementato da Trump nel 2017 ha dato il colpo di grazia alla Petróleos de Venezuela, l’impresa statale – e di conseguenza al suo referente politico -, costringendola a dimezzare le forniture a Cuba, che dal 2018 scesero da 90.000 a 55.000 barili giornalieri, continuando a calare fino a maggio di quest’anno.

Di conseguenza non manca solo la benzina, ma tutti i servizi pubblici ne sono affetti, a cominciare dalle centrali termoelettriche che il crudo pesante locale non basta più ad alimentare. Per cui allo stato attuale si susseguono gli apagones, cioè le interruzioni di fornitura elettrica che lasciano al buio a turno i quartieri centrali dell’Avana, quelli che consumano di più. La scintilla delle proteste popolari di luglio 2021 scaturì proprio da tali blackouts.

Intervistando il ministro dell’Energia di allora e i vertici del Sistema Eléctrico Nacional, un’inchiesta di Greenreport del 2021 appurò che i continui black-out sono dovuti “alle limitate riserve di esercizio del sistema, oltre alla distribuzione che presenta limiti tecnologici. Quindi gli effetti negativi sono inevitabili”. Oltre a ciò, “le difficoltà incontrate nelle manutenzioni strutturali e degli impianti termoelettrici determinano l’alto tasso di guasti e i picchi imprevisti di produzione”. Motivo per cui il crudo se ne va quasi interamente per l’energia e quel poco che rimane per il carburante incappa nei problemi legati alla raffinazione, che costringono l’isola alla dipendenza dalle importazioni, malgrado i giacimenti a disposizione. Dal Messico e soprattutto dalla Russia. Un ritorno poco gradito al passato, quando l’isola era la variante caraibica nell’Unione sovietica.

Il Succhio (El Chupa)

Luis Jorge è un collezionista di utilitarie d’epoca. La sua 126 color fucsia del 1974 è tenuta a puntino e perfettamente funzionante. È lui che spiega il meccanismo della borsa nera della benzina che all’Avana oggi è il negocio de la calle (business di strada) più redditizio in assoluto: “Questa crisi è una manna per quelli che fanno della speculazione il proprio mestiere. Il governo vende la benzina Super 94 a 30 MN (Moneda Nacional, il vecchio peso, nda) al litro. Però causa la penuria legata agli approvvigionamenti e al traffico della capitale che negli ultimi anni è triplicato, deve necessariamente organizzare una turnazione alle pompe. Ogni lunedì io posso prenotarmi presso un distributore Cupet a mia scelta, una volta immessi i dati nel sistema mi viene assegnato un codice e quando il mio turno si avvicina, tipo 50 o 100 numeri prima, mi arriva un messaggio via Telegram con l’avviso di mettermi in fila alla stazione prescelta nel giorno assegnato. Il trucco sta nel prenotarsi ogni lunedì presso distributori differenti, in modo che quando cominciano a chiamare, io mi presento al primo con il serbatoio vuoto, lo faccio riempire (ho diritto a un pieno) pronto a venderla a coloro che hanno un impegno urgente e non possono aspettare il proprio turno. Il prezzo della benzina per la rivendita oscilla dai 400 ai 500 pesos al litro (in pratica un ricarico che va ben oltre il 1000%). Una volta davanti all’auto del ‘cliente’, tiro fuori un manicotto di gomma, lo infilo nel mio serbatoio, succhio, e con il getto che arriva per la pressione, scarico la benzina nella tanica fino a riempirla, e da lì attingo la quantità di cui il compratore ha bisogno. Se intanto mi arriva una chiamata da un’altra pompa, vuoto di nuovo il serbatoio e vado a rifare la fila per riempirlo di nuovo. E così via”.

Questo mercimonio fa sì che non solo il carburante non basti per tutti, poiché ci sono quelli che ne fanno incetta oltre la quantità che spetta loro, ma intasa pure le file davanti ai distributori. Un business talmente sfrontato che sovente la cerimonia del “succhio” inizia già durante la coda stessa, con i frettolosi che si avvicinano e chiedono alcuni litri da comprare “in nero”. Jazel “El Chupa, come lo chiamano i tassisti, la sera si piazza nei pressi del distributore Cupet Riviera provvisto di tanica e tubo succhiando dalla sua Lada per il cliente occasionale benzina regular 87 a 500 MN al litro (al cambio attuale, 2,8 euro). Gliene chiedo un po’: “Quanta ne vuoi amigo? Il prezzo minimo che posso farti è questo, la gasolina sta carissima”. Tuttavia al mercado negro per quella cifra compri la Super 94, non la 87 che è povera di ottani. Alla stazione di Guanabo, l’unica nei pressi della capitale che consenta agli stranieri di rifornirsi saltando le file chilometriche, pagando 620.70 MN ti danno 20,69 litri. 30 MN esatti al litro, al cambio 0,16 euro.

Però l’attesa è un lusso che chi ha fretta non può permettersi e tantomeno possono attendere i tassisti per i quali è vitale avere sempre il serbatoio con carburante sufficiente per le corse, specie se sono diretti all’aeroporto José Marti, che è il tragitto pagato meglio: 20 dollari o 2.000 pesos. Per cui sottostare a questo strozzinaggio energetico è un “pizzo” inevitabile da pagare per chi ci lavora. Come sempre tardivamente, il governo sta cercando di mettere una pezza a questo traffico illecito. Da un paio di settimane si lavora a una app denominata Ticket che, una volta operativa, sostituirà l’attuale procedura, obbligando il cliente a registrarsi solo su un Servi Cupet, bloccando in automatico gli eventuali furbetti.

Fonte ilfattoquotidiano.it – Articolo di Flavio Bacchetta

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