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Tangenti Eni Nigeria, difesa dura: “La Procura non ha le prove”

I pm hanno chiesto di condannare a 8 anni l’ex amministratore delegato Scaroni per un’ipotesi di corruzione legata all’acquisto della concessione petrolifera detenuta da un ex ministro africano.
Una «Procura in fuga dal dovere di indicare le prove» su cui pur basa la richiesta di condannare a 8 anni anche l’ex amministratore delegato Eni Paolo Scaroni per corruzione internazionale in Nigeria: é il rovesciamento paradossale che il difensore Enrico De Castiglioni propone ai giudici Tremolada-Gallina-Carboni e argomenta nelle 4 ore di arringa al processo Eni-Nigeria sul miliardo e 92 milioni di dollari pagati nel 2011 da Eni e Shell al governo della Nigeria, su un conto ufficiale, per acquistare la concessione petrolifera «Opl-245» (una delle più ricche d’Africa), detenuta in concreto dall’ex ministro del Petrolio Dan Etete, il quale anni prima se la era autoattribuita dietro lo schermo-prestanome della società Malabu.
Fragoroso silenzio dei pm
«A me pare che l’accusa sia evanescente non solo per quello che in questi due anni di dibattimento é stato detto, ma anche e soprattutto – sostiene il legale – per quello che é stato taciuto dalla pubblica accusa, e cioé per il totale fragoroso silenzio sull’individuazione dell’accordo corruttivo e sul ruolo che vi avrebbe avuto Scaroni: cioé proprio l’aspetto che la giurisprudenza della Cassazione pretende centrale nel reato di corruzione internazionale», persino nei rari casi in cui «sia stata provata una dazione di denaro». Non a caso De Castiglioni richiama la recente applicazione di questo principio fatta da due diverse sezioni della Corte d’Appello di Milano giá nei processi di corruzione internazionale Finmeccanica in India e Eni in Algeria, entrambi conclusi con assoluzioni per il mancato accertamento dell’accordo corruttivo, pur se in entrambi i casi erano stati individuati corposi pagamenti sottostanti agli appalti.
Il ruolo di Scaroni
«Dai pm sarebbe stato lecito, e direi anche doveroso, attendersi la dimostrazione puntuale del ruolo di Scaroni in questo fatto corruttivo, invece in due giorni di requisitoria non ho sentito una parola su Scaroni: non quando sarebbe stato stretto l’accordo corruttivo, in che termini, dove, con chi. La fuga della pubblica accusa da questa componente essenziale dell’imputazione trova la sua ragione d’essere non certo nell’ignoranza dell’importanza del tema, né in una colpevole distrazione di pm super scrupolosi e impegnati, ma nella totale mancanza di prove sul punto».
Lo specchio olandese
Per la difesa di Scaroni, infatti, la Procura «si limita a formulare una ipotesi: tutti i dirigenti Eni e Shell, senza distinzioni di ruoli e di aziende, sapevano che il denaro che la societá venditrice Malabu avrebbe ricevuto dal governo nigeriano sarebbero poi stati usati da Etete per pagare tangenti ai politici nigeriani con i quali aveva preso impegni economici». Per i pm le prove sono almeno due. La prima é «lo specchio olandese», cioé le mail scambiate tra i dirigenti Shell, commenti tra costoro da cui si ricaverebbe la consapevolezza delle sottostanti tangenti anche nei dirigenti Eni: «Ma Scaroni non ha mai avuto una mail o una telefonata con i vertici Shell, non ha mai viste queste mail, peraltro in larga parte esse sono precedenti all’ingresso di Eni nella trattativa: e allora dove si specchia Eni? Dov’é lo specchio?».
I “contributi politici
L’altra é che «il pm accosta suggestivamente” una nota di Shell sull’affare Opl 245 (nel quale si accenna ai «contributi politici” che il presidente nigeriano Jonathan Goodluck si aspettava) alla visita Scaroni 13 agosto 2010 per un incontro (uno di quelli che i vertici Eni Facevano d’estate nei Paesi produttori) con il presidente nigeriano. «Ma questa lettura é fuorviante. In realtá questa stessa nota si trova anche in un altro punto degli atti, ma lí con altri fogli da cui si capisce bene che la nota fu redatta perlomeno il 22 agosto in vista della telefonata del 23 agosto fra Descalzi e Brinded di Shell, e che i dirigenti Shell dicono anzi di non avere alcun feedback sull’incontro di Scaroni del 13 agosto». Inoltre la nota evoca «il punto di vista del Paese», ma «quindi queste sono solo voci, che non possono entrare qui». E «contributi politici» non vorrebbe dire tangenti, come si capirebbe da un’altra nota «che richiama l’interesse del presidente nigeriano a che la produzione di petrolio finalmente partisse».
Le dichiarazioni di Armanna
I pm, ad avviso della difesa di Scaroni, «sono cosí a corto di argomenti da dover valorizzare» le dichiarazioni del coimputato-dichiarante Vincenzo Armanna. L’avvocato premette che «intanto non troverete mai che dica di aver parlato a Scaroni di accordi corruttivi, era dieci livelli lontano da lui». Poi ne sottolinea «le smentite che l’istruttoria dibattimentale ha dato a molte sue dichiarazioni», al punto che «in due giornate di requisitoria dei pm nel caldo di luglio la vicenda ad esempio del trolley in aereo con 50 milioni destinati ai manager italiani Eni è evaporata completamente, neanche piú una parola», e del resto erano «deduzioni» di Armanna «su informazioni avute da terzi» imprecisati come il supposto 007 nigeriano Victor, «teste di riferimento che qui lo ha radicalmente smentito: smentito da entrambi i “Victor” interrogati qui per convergente volontá della Procura e della difesa di Armanna (cosa mai capitatami in 30 anni), il Victor che cosí risulta all’anagrafe e l’altro Victor sedicente tale», poi indagato dai pm per falsa testimonianza. E smentito Armanna «è stato anche dall’agente segreto dell’Aise, S.C.,la cui testimonianza, siccome faceva implodere la tesi d’accusa, il pm ha poi ritenuto di definire “una deposizione un po’ strana”». Un quadro che per De Castiglioni é «dunque un caso scolastico delle due condizioni giuridiche che impediscono l’utilizzabilitá frazionata delle dichiarazioni», e cioé «l’interferenza fattuale e logica di una accertata circostanza falsa con altri fatti importanti per il processo, o la conclamata falsitá delle dichiarazioni per palese contrasto con altri dati di fatto».
Il (non) filtro del governo sulla Nigeria
Sulle analisi di rischio reputazionale interne a Eni, le quali giá all’epoca segnalavano appunto che dietro i prestanome della societá Malabu (detentrice della licenza) potesse in realtá esserci l’ex ministro del Petrolio Etete, la difesa di Scaroni si attesta sul fatto che esse, «che al più potrebbero rilevare come profilo colposo, non fossero comunque indirizzate a Scaroni e non gli siano mai arrivate». Ma per l’avvocato De Castiglioni c’é di piú, «proviamo persino a collocarci nel periodo ipotetico dell’irrealtá, facciamo pure finta che sia giusta la tesi dei pm, e cioé che il governo nigeriano sarebbe stato una interposizione fittizia, e che Eni e Shell avrebbero architettato di pagare il prezzo del giacimento ufficialmente al governo della Nigeria solo come filtro per non far vedere che in realtá pagavano Etete. Ebbene, anche se cosí fosse stato (ma non é cosí), Eni avrebbe pagato Etete per comprare la licenza, cioé per un negozio giuridico lecito: e l’acquirente non puó mai essere chiamato a rispondere di ciò che il venditore poi faccia con il prezzo della transazione».
Il ruolo di Bisignani
Nella prospettiva della difesa di Scaroni, inoltre, «il processo neppure ha dimostrato quello che il pm De Pasquale aveva chiamato in requisitoria “il cavallo di ritorno” o l’eterno ritorno delle tangenti», e cioé le retrocessioni a manager Eni di parte del denaro pagato in ipotesi da Eni come tangenti in Nigeria, nello specifico dietro l’idea che il mediatore nigeriano Emeka Obi rappresentasse Scaroni, e che quindi a Scaroni (tramite il legame con l’onnipresente Luigi Bisignani, e il legame di Bisignani con il cofinanziatore della causa civile di Obi in Inghilterra, Gianluca Di Nardo) sarebbe potuta finire parte dei 120 milioni incassati da Obi dalla sentenza della giustizia inglese che diede ragione appunto a Obi nel contenzioso civile con Etete: «È interessante, sarebbe il primo caso di fondi illeciti provenienti da una sentenza…», scherza De Castiglioni (anche se allo stato Obi e Di Nardo, che nel 2018 scelsero il rito abbreviato, hanno sulle spalle una condanna in primo grado a 4 anni per concorso nella corruzione internazionale). «Inoltre Bisignani – aggiunge il legale – pacificamente non ha ricevuto un euro: dalle sue parole si ricava che certamente all’inizio dell’affare Opl245 si aspettava dei riconoscimenti economici, ma mai che li avrebbe poi dovuti condividere con Scaroni. Persino Armanna ai pm non ha parlato di soldi per Scaroni, ma se mai per Bisignani e Di Nardo in conto proprio».
Le tangenti di ritorno
La realtá, secondo De Castiglioni, sarebbe che «i pm cercano di far passare subliminalmente il falso sillogismo per il quale “in ogni tangente all’estero c’é una parte di denaro che torna indietro a chi l’ha pagata, qui ci sono soldi che tornano con Obi, quindi questi soldi sono i soldi della parte di tangente che torna”. Ma é un sillogismo piú falso del falso sillogismo per il quale “una forchetta ha quattro denti, mia nonna ha quattro denti, mia nonna é una forchetta”…».

Luigi Ferrarella – Corriere della Sera

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