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Mobilità, idrogeno: l’unica stazione di servizio a Bolzano. Eni si prepara a scendere in campo.

Oltre due milioni e mezzo di chilometri. Tanta è la strada percorsa finora in provincia di Bolzano da cinque autobus Mercedes e da dieci suv Hyundai alimentati a idrogeno. Le corriere sono ancora in servizio, mentre le ix35 del costruttore coreano, le prime vetture “private” ad essere entrate a far parte della nascente flotta automobilistica sostenibile altoatesina, sono state restituite dopo aver contabilizzato 700.000 chilometri e sono state sostituite dalle Hyundai Nexo. La “visione” dell’amministrazione pubblica locale è quella di creare un collegamento alternativo (dal punto di vista dell’alimentazione) tra l’Europa meridionale e settentrionale con una sorta di distretto a celle a combustibile per contribuire anche al miglioramento della qualità dell’aria. L’idea è nata agli inizi degli anni Duemila e la Provincia Autonoma di Bolzano ha stanziato fondi significativi ottenendo anche importanti finanziamenti a livello comunitario, ormai un quarto della sessantina di milioni spesi. «Con il Piano strategico per l’idrogeno abbiamo gettato le basi per un futuro a zero emissioni – sintetizza Daniel Alfreider, assessore alla mobilità e vice presidente della Giunta Provinciale – Crediamo fortemente nel progetto “Brenner Green Corridor“ per garantire il flusso di traffico sull’importante corridoio tra Italia e Nord Europa e renderlo più sostenibile per il futuro». Il cuore di questa pionieristica opzione sostenibile è il Centro H2, gestito dall’Istituto per le Innovazioni Tecnologiche (Iit). Il quartier generale si trova nel labirinto di lingue d’asfalto dell’Autostrada del Brennero, della tangenziale e dell’accesso alla Me-Bo, la Merano-Bolzano. Ed è lì che si trova il “tesoro” che chi guida veicoli a idrogeno non può permettersi di non trovare. Cioè l’unica stazione di servizio italiana aperta al pubblico.

IL CANE A SEI ZAMPE
Per vero, anche l’Eni ha annunciato la realizzazione di due stazioni di servizio a idrogeno, la cui progettazione è stata già ultimata, ma si è ancora in attesa dei permessi a costruire: la prima a San Donato Milanese, dove l’idrogeno verrà prodotto in sito da elettrolisi (idrogeno green) e compresso a 700 bar, utilizzando l’acqua come materia prima, e sarà a disposizione per la flotta di auto Mirai che Toyota metterà in servizio. La seconda verrà realizzata nella terraferma veneziana: a Venezia nel settembre 2019 è stato sottoscritto un accordo tra il Comune di Venezia, Eni e Toyota. L’idrogeno verrà approvvigionato, appena completato l’impianto Waste to Hydrogen, nella bioraffineria Eni di Venezia (a Porto Marghera) e distribuito con “carrobombolaio”. L’impianto erogherà idrogeno a 700 bar per la flotta Toyota Mirai e a 350 bar agli autobus del servizio pubblico. Entrambe le stazioni saranno ultimate, promette l’Eni, entro il 2021. Per tornare al Centro H2, l’inaugurazione è avvenuta nel 2014 e dispone di tre pompe (due riservate agli autobus ed una per le auto) e oggi rappresenta l’avamposto nazionale della mobilità del futuro ed è il punto di riferimento anche dei costruttori che vogliono sottoporre i prototipi ai test nelle Alpi. Uno degli obiettivi del corridoio verde attraverso le montagne è la tutela della biodiversità oltre al contenimento degli effetti del cambiamento climatico. Ma le ambizioni della Provincia vanno molto oltre. Perché punta non soltanto a far viaggiare sempre più persone con veicoli a celle a combustibile: una tecnologia che elimina le emissioni dannose: gli scarichi rilasciano vapore acqueo.
In Alto Adige «la produzione di questo carburante avviene mediante elettrolisi e fa sì che l’idrogeno abbia un circolo di vita totalmente a zero emissioni, ovvero dall’origine della corrente elettrica fino al tubo di scarico», sottolinea Dieter Theiner, presidente del cda dell’Iit. I tre elettrolizzatori modulari possono assicurare una produzione vicina ai 180 metri cubi all’ora (Nm³/ora) in condizioni normali. Compresso e stoccato come gas, l’idrogeno bolzanino può alimentare fino a 15 autobus urbani o 700 vetture. Una risorsa strategica anche dal punto di vista economico e imprenditoriale. «Diventeremo attrattivi anche per i turisti sensibili al tema della sostenibilità», avverte Arno Kompatscher, il governatore dell’Alto Adige. Nell’ambito dei vari progetti cofinanziati dall’Unione Europea (il più famoso è il LifeAlps) è prevista anche la realizzazione di ulteriori stazioni di servizio. L’A22, ossia l’Autostrada del Brennero che assieme all’azienda energetica Alperia è tra i soci dell’Iit, ha già pianificato la realizzazione di otto distributori. I potenziali clienti arriveranno non solo dall’estero, perché attraverso la Sasa, la controllata che si occupa di trasporto pubblico, e lo stesso Centro H2, l’amministrazione provinciale continua a sostenere l’acquisto di nuovi veicoli a idrogeno.
Nei giorni scorsi la flotta provinciale è stata ampliata con la consegna di tre Toyota Mirai, un modello già venduto in oltre 10.000 esemplari a livello planetario. Inclusa la nuova Hyundai Nexo dei Vigili del Fuoco, in Alto Adige circolano 22 auto a idrogeno, 19 delle quali dalla Corea del Sud. Entro l’anno verrà consegnato il primo autobus a celle a combustibile a marchio Solaris che andrà a potenziare la flotta per il trasporto pubblico urbano. Gli obiettivi sono importanti, ma i tempi per raggiungerli sono ancora lunghi. Perché a parte l’infrastruttura in corso di realizzazione, mancano ancora i veicoli a celle a combustibile. Oltre a Hyundai e Toyota, per il momento solo Honda (che ha la Clarity nella propria gamma, ma non è disponibile in Europa) e Mercedes (la Gle Fuel-Cell) hanno auto a idrogeno. Bmw ne ha annunciato una piccola serie entro la metà del decennio. Le Nexo e le Mirai sono a disposizione con formule di noleggio a lungo termine per ora accessibili solo a chi abita o lavora in provincia di Bolzano o nelle immediate vicinanze. «Abbiamo investito con impegno per raggiungere il nostro primato nel settore dell’idrogeno e il know how di cui oggi disponiamo nel settore della mobilità sostenibile», sottolinea Kompatscher. «L’idea è di condividere questo know-how con le provincie limitrofe ma anche con altre realtà nazionali ed europee», conclude.

Fonte Il Messaggero

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