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Storia dell’automobile: l’autolavaggio

Dai primi impianti per il lavaggio dell’automobile ai moderni impianti di autolavaggio self service, l’automazione è da sempre protagonista.

Tra i servizi offerti al distributore di benzina c’è l’autolavaggio: che si svolga in impianti automatici o con sistemi self-service, è un’operazione che coinvolge abitualmente circa il 20% degli automobilisti (dati Surveyeah, società di sondaggi online). Non è un servizio recente, anzi: il lavaggio era offerto nelle gas stations americane fin dagli anni ’20, quando la pulizia dell’auto era richiesta dai farmer, agricoltori e allevatori che arrivavano al distributore con le loro vetture sporche e ammaccate. Il gestore dell’impianto arrivava con un bloc-notes in mano, quasi fosse il cameriere di un ristorante, e si segnava le varie commesse prima di prendere in consegna l’auto.

Il lavaggio era un’operazione meno semplice di quel che si crede, dato che “fatta senza criterio può recare danni notevoli”, come si legge su riviste d’epoca conservate al Museo Fisogni, come Le Vie d’Italia (Touring Club) o la rivista Aral, dell’omonima compagnia petrolifera. Nemica numero uno era la ruggine; in un’epoca in cui le automobili erano interamente di metallo, talvolta nemmeno trattato, un passaggio fondamentale era l’asciugatura: perciò “bisogna saper lavare bene ed asciugare meglio”.

Un ponte per il lavaggio della torinese Emanuel: in questo caso l’auto era ferma, mentre l’addetto spostava il ponte con tutti i suoi ugelli lungo un binario, facendolo muovere avanti e indietro sull’auto. A destra: un ponte Emanuel conservato al Museo Fisogni. © Museo Fisogni

Negli USA, fin dagli inizi dell’età dell’automobile, c’erano impianti ampiamente automatizzati, del tutto simili agli attuali, con un tapis roulant che faceva avanzare le auto, ad una ad una, sino alla posizione centrale, dove un inserviente metteva in azione tutti i getti d’acqua: a doccia dall’alto, a zampilli dal disotto, e di fianco da tutte le altezze a diverse pressioni. Le vetture avanzavano poi lungo un corridoio dove incontravano potenti getti d’aria calda che ne affrettavano l’asciugatura, e alla fine del percorso squadre di operai terminavano le operazioni di pulizia e lucidatura.

Negli impianti meno all’avanguardia il lavoro era invece tutto manuale. Non serviva molto: bastavano una piattaforma in cemento con un foro di scolo, e tutt’al più un elevatore, e per sfruttare al meglio la pressione dell’acqua c’erano apposite lance regolabili che permettevano di impostare il getto adeguato. Importante era anche la pulizia degli interni: già nel 1931 le stazioni di servizio americane erano dotate di aspiratore per la polvere, con cui “le parti interne della vettura, cuscini, tappeti, tendine, soffietto, vengono ripulite come meglio non si potrebbe”.

Disegno di un tunnel per il lavaggio della torinese Emanuel: in questo caso l’auto è trascinata da un nastro trasportatore o da un sistema di catene attraverso un tunnel attrezzato. © Archivi Museo Fisogni

Le innovazioni non tardarono ad arrivare anche in Italia e in Europa; nel 1939 la torinese Emanuel presentò il suo ultimo ritrovato, che per certi versi era addirittura un passo in avanti rispetto agli impianti americani: il suo tunnel, infatti, utilizzava getti d’acqua mobili. Gli ugelli erano regolati direttamente dal personale, mentre il movimento della vettura era gestito tramite un sistema di catene; però, a differenza dei sistemi americani, l’asciugatura era manuale. La cabina di lavaggio poteva essere montata in linea a tutti gli altri servizi di cui necessitava l’automobile: questa, sempre trascinata dalla catena, veniva sottoposta a grassaggio, rifornimento eccetera, e alla fine sganciata e riconsegnata.

Proprio per lo stretto legame tra pulizia e lubrificazione furono ideati, nel dopoguerra, i moduli centralizzati di lavaggio e grassaggio: una “soluzione indovinatissima” che permetteva di concentrare in un unico mobile tutti gli attrezzi necessari per le operazioni di lavaggio, asciugatura, lubrificazione e rifornimento dell’olio.

Come per le pompe di benzina, anche nel campo lavaggio si assisté, negli anni ’50 e ’60, all’introduzione delle prime forme di self-service grazie al gruppo mobile per il lavaggio, un macchinario compatto, semplice da usare e che poteva essere “munito di gettoniera”.

Moduli centralizzati per “lavaggio e grassaggio”. © Archivi Museo Fisogni

Proprio in questi anni iniziarono a diffondersi anche autolavaggi di nuova generazione – come i primi dotati di spazzole automatiche – che permettevano di risparmiare spazio e di lavorare più velocemente: uno di questi impianti è conservato al Museo Fisogni. «L’ho trovato in mezzo ai rottami e l’ho recuperato», racconta Guido Fisogni: «è piccolo, perché le automobili di allora erano più basse di quelle di oggi. La macchina veniva messa sotto al lavaggio, acqua e sapone uscivano dagli ugelli e dai bracci rotanti laterali: il gestore, sul lato, trascinava il ponte avanti e indietro sui binari, ma poi strofinava a mano perché non c’erano spazzole; alla fine usciva l’aria compressa per l’asciugatura. L’intero processo era molto rapido, attorno ai sei minuti.»

Col tempo il lavaggio divenne sempre più tecnologico e razionale; con l’introduzione delle spazzole, il lavoro divenne sempre meno manuale e più alla portata dell’automobilista, e con l’avvento dei depuratori e dei detergenti ecologici, infine, anche l’impatto ambientale andò via via riducendosi, permettendo a questo servizio di sopravvivere e rimanere popolare ancora oggi.

Fonte Focus.it in collaborazione con il Museo Fisogni

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