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L’oleodotto Colonial torna in funzione, agli hacker pagato un riscatto.

La società avrebbe versato 5 milioni di dollari in criptovalute. Intanto si lavora per risolvere i problemi di distribuzione dei carburante, che in alcune aree degli Usa hanno provocato carenze.

Il maggiore oleodotto degli Stati Uniti ha ripreso a funzionare dopo sei giorni di blocco causati da un attacco informatico. Ma Colonial Pipeline avrebbe dovuto pagare agli hacker un riscatto di 5 milioni di dollari in criptovalute. E in ogni caso la situazione non è ancora del tutto risolta: ci vorrà ancora qualche giorno per superare le difficoltà di distribuzione dei carburanti, che tuttora provocano gravi carenze in diverse aree del Paese. 

Anche il presidente Joe Biden è tornato a parlare dell’emergenza. Sul presunto riscatto poche parole, che comunque suonano come una conferma indiretta alle indiscrezioni rivelate da Bloomberg: la Casa Bianca non può dettare alle società private come comportarsi in materia di sicurezza informatica.

Biden ha anche escluso responsabilità di Mosca nell’attentato, benché gli hacker risultino basati in Russia, ma intende discuterne della vicenda con il presidente Vladimir Putin

Quanto all’oleodotto, «il carburante comincia a fluire», ha rassicurato Biden, ma per avere forniture normali bisognerà aspettare «il weekend o la prossima settimana». Nel frattempo – ha intimato – «nessuno dovrà approfittare della situazione per trarre un guadagno finanziario».

La ripresa dei flussi sull’intera rete Colonial, avviata mercoledì 12, è solo «l’inizio della fine della crisi», come dice Michael Tran, analista di RBC Capital Markets. «Il prossimo passo è la corsa logistica per rifornire le stazioni di servizio».

Centinaia di distributori sono rimasti a secco, persino in località non interessate direttamente dall’emergenza, dopo che folle di automobilisti hanno reagito alla notizia dell’attentato precipitandosi a fare il pieno.

I ripetuti appelli delle autorità a mantenere la calma ed evitare accaparramenti, reiterati da Biden, non sono riusciti ad arginare il panico durante il blocco della rete. Il risultato è che giovedì 13 in molti Stati – tra cui Georgia, South Carolina, Virginia e Washington DC – metà delle stazioni di servizio risultavano ancora chiuse per esaurimento scorte, secondo dati raccolti da GasBuddy.

La situazione più critica in North Carolina, dove la percentuale di pompe di benzina fuori uso sfiorava ancora il 70%, ma anche la metropoli di Atlanta si è ritrovata con oltre il 60% dei distributori chiusi e alcune compagnie aeree, tra cui American Airlines, costrette a scali intermedi per riuscire a rifornire i velivoli. Nel frattempo diverse raffinerie in Texas hanno rallentato le lavorazioni per le difficoltà nel trasportare altrove i prodotti.

I problemi non si risolveranno sui due piedi: la stessa Colonial ha avvertito di probabili «fermate intermittenti del servizio nel periodo di riavvio» della rete. «Ci vorranno diversi giorni – ha aggiunto – prima che la catena di fornitura dei prodotti ritorni alla normalità».

L’ottimismo per la prossima fine dell’emergenza ha comunque avuto l’effetto immediato di fermare l’impennata dei prezzi alla pompa, dopo che negli Usa il prezzo medio della benzina aveva superato 3 dollari al gallone per la prima volta da ottobre 2014. In discesa anche le quotazioni al Nymex, comprese quelle del petrolio che addirittura hanno perso più del 4% nella seduta di giovedì 13, ripiegando nel caso del Wti intorno a 63 dollari al barile, anche se a guidare il mercato sono stati soprattutto altri fattori: dalla caduta delle Borse ai timori per la domanda petrolifera legati alla crisi da Covid in India.

Fonte ilsole24ore.com – Articolo di Sissi Bellomo

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