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Petrolio, consumi in ripresa in Italia

I dati dell’Unem: la domanda nei primi 5 mesi è cresciuta di oltre il 6%. Recupero anche per il jet fuel. Ma ora la priorità è abbattere le emissioni dei carburanti.

Nei primi cinque mesi dell’anno la domanda di petrolio in Italia è tornata a crescere del 6,2% rispetto agli stessi livelli del 2020. Per il prossimo trimestre, con l’attesa ripresa del trasporto stradale che si sta riportando ai livelli pre-pandemia, si prospetta un recupero anche superiore all’8,3%. Sono i dati diffusi dal presidente dell’Unem (l’ex Unione petrolifera), Claudio Spinaci, nell’assemblea annuale. Anche per il trasporto aereo si segnala un recupero che potrebbe far crescere la domanda di jet fuel del 27%, anche se si è ancora lontani dai numeri del 2019, con una differenza negativa del 53%.

La fattura petrolifera 2021 è di 16,7 miliardi, di 4,9 miliardi superiore rispetto al 2020 ma ancora inferiore ai 21,3 miliardi del 2019. Solo 1,2 miliardi di euro sono collegati alla crescita dei consumi, mentre gli altri 3,7 miliardi dipendono dall’aumento del costo del greggio importato.  Un prezzo di equilibrio del petrolio, precisa il presidente Unem, è difficile da prevedere sia per le dinamiche interne all’Opec+, ossia il lato dell’offerta, sia per l’influenza degli investimenti E&P delle compagnie petrolifere sulle aspettative. 

I prezzi dei carburanti in Italia resterebbero inferiori di circa 3 centesimi al litro rispetto alla media dell’area euro, ma la componente fiscale pesa per sulle tasche degli italiani fino a 10 centesimi al litro. Il gettito fiscale delle accise è infatti arrivato a 23 miliardi di euro, 2,6 miliardi in più del 2020, ma comunque 2 miliardi in meno del 2019. 

La priorità, secondo Spinaci, resta la transizione verso fonti di energia low carbon fuels: si rende quindi necessaria una coordinazione a livello internazionale per attuarla. Il settore industriale della raffinazione mantiene però il baricentro a Oriente, con un terzo della capacità concentrato in Cina. Dipendere da Paesi non-Ocse, avverte il presidente dell’Unem, penalizzerebbe l’Europa: perdere la raffinazione e delocalizzare la produzione indebolirebbe la posizione competitiva europea senza reali benefici ambientali. Per questo sarebbe preferibile mantenere attivo questo settore in Europa applicando stringenti standard sulle emissioni e promuovendo la sostituzione graduale di materie prime fossili con materie prime rinnovabili. Anche perchè in Italia oggi i prodotti petroliferi rappresentano il 96% delle esportazione di fonti energetiche, soprattutto grazie alla vicinanza geografica al mercato africano in crescita esponenziale.  

Seguendo questo ragionamento, Spinaci si oppone all’ipotesi del Commissario europeo con delega al Green Deal, Frans Timmermans, di inserire nel pacchetto europeo Fit for 55 il phase out dei motori a combustione interna: a suo avviso, sarebbe un grosso errore sia per gli impatti industriali sia per gli obiettivi ambientali. Un sistema di trading di certificati/crediti tra produttori di carburanti e costruttori di veicoli, secondo Unem, sarebbe invece opportuno per valorizzare l’utilizzo dei carburanti decarbonizzati nel calcolo delle emissioni dei propri mezzi. Questo meccanismo potrebbe poi essere allargato dal trasporto leggero ai comparti hard to abate, quelli in cui è più difficile tagliare le emissioni come i trasporti aereo e marittimo.

Fonte milanofinanza.it – Articolo di Silvia Valente 

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