NewsRassegna Stampa

L’addio al petrolio mette a rischio ventimila posti

L’Unem: “Il lato oscuro della transizione ecologica”. La raffinazione fattura in Italia oltre 80 miliardi.

Le hanno già soprannominate le “vittime” della transizione energetica. Perché ogni rivoluzione, anche quella ecologica, lascia per strada gli addetti ai vecchi mestieri. Gli occupati, in questo caso, della filiera dei combustibili fossili. Così, nei giorni scorsi, Claudio Spinaci, presidente dell’Unem, la ex Unione petrolifera che ora si chiama Unione energie per la mobilità, ha lanciato l’allarme su 20mila posti di lavoro a rischio nei prossimi anni nell’industria della raffinazione.

Che, da una parte, dovrà continuare a garantire i rifornimenti a un Paese che per oltre l’85% si muove su gomma con mezzi ancora per oltre il 90% alimentati a benzina, diesel, metano e Gpl, e, dall’altro, non è in grado da sola di affrontare gli ingenti investimenti per il grande cambiamento imposto dalla transizione energetica.

Per questo Unem, dopo aver visto che delle sue proposte non c’è traccia nel Pnrr, ha inviato una lettera ai ministri della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, per “aprire un tavolo – spiega Spinaci – tra operatori e istituzioni per affrontare il tema della transizione delle raffinerie italiane e della loro stessa esistenza, legata al rischio di una delocalizzazione per la progressiva perdita di competitività verso altre realtà in ascesa in Medio Oriente, Africa e Sud Est asiatico”.

Il pericolo, avverte Spinaci, è che si disperda il patrimonio della raffinazione italiana che contribuisce all’economia del Paese con 80 miliardi di fatturato, 13 di export e oltre 40 di imposte versate annualmente allo Stato. Ma anche un’industria che, già prima della pandemia, soffriva una crisi strutturale con un risultato operativo lordo negativo di oltre un miliardo nel 2020, perdita proseguita nei primi sei mesi di quest’anno. Quindi, se il settore è aperto alla decarbonizzazione e a un percorso di riqualificazione delle raffinerie per produrre biocarburanti e carburanti sintetici utilizzando i rifiuti, l’acqua, l’idrogeno, la cattura della CO2, non può sostenere i maxi-investimenti richiesti per questa transizione e – come sta già avvenendo in altri Paesi europei, dall’Olanda alla Gran Bretagna molto più avanti del nostro – è necessario l’intervento pubblico.

Del resto il problema delle “vittime” del passaggio epocale dall’era degli idrocarburi a quella del tutto elettrico – dimenticandosi, avverte Spinaci, che oggi l’elettricità è ancora prodotta utilizzando gas e carbone – non riguarda solo l’Italia. Impianti che si riconvertono, compresi quelli dell’industria dell’auto, significa che nuove professioni prendano il posto di quelle storiche. In Germania per affrontare questa sfida hanno già costituito una commissione nel 2018 mentre in Inghilterra l’Università di Leicester ha studiato il caso della chiusura nel 2015 delle acciaierie della costa nord-orientale con l’80% dei circa 2mila lavoratori ricollocati ma con salari più bassi.

Così, se la Commissione europea stima oltre 170mila nuovi posti nell’Eurozona grazie al pacchetto di interventi nell’economia circolare al 2035 e l’Università di Stanford prevede a livello mondiale 52 milioni di nuovi occupati per le energie rinnovabili entro il 2040 rispetto a 27,2 milioni di posti persi per le chiusure del settore fossile, l’Ocse avverte che il saldo positivo tra occupati e disoccupati sarà possibile se la transizione sarà accompagnata da incentivi fiscali e politiche industriali dei governi. In fondo, quel che chiede a Draghi l’Unem.

Fonte quotidiano.net – Articolo di Achille Perego

Mostra di più

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio