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Un capannone sequestrato alla mafia.

L’edificio si trova a Basaldella in un’area (non ancora operativa) destinata alla distribuzione di prodotti petroliferi.

È coinvolta anche la provincia di Udine nella maxi-inchiesta antimafia della Guardia di finanza di Catania che ha portato a sequestri per 12 milioni di euro relativi a beni e aziende di imprenditori legati al clan Scalisi, gruppo della famiglia mafiosa Laudani.

L’operazione è scattata in sei regioni (Sicilia, Lombardia, Veneto, Lazio, Piemonte e Friuli Venezia Giulia) e ha riguardato sette provincie (Catania, Roma, Milano, Novara, Udine, Varese e Verona), oltre che in Bulgaria. In Friuli i militari hanno provveduto al sequestro di un capannone e dell’area adiacente a Basaldella, frazione di Campoformido, all’altezza del civico 97 di via della Roggia.

Le Fiamme gialle del comando provinciale etneo e dello Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) hanno notificato due provvedimenti di sequestro patrimoniale in materia antimafia (uno emesso dal gip presso il tribunale di Catania e l’altro d’urgenza dalla Procura) relativi a quote societarie e compendi aziendali del settore dei trasporti e della commercializzazione dei prodotti petroliferi riconducibili a imprenditori ritenuti legati alla cosca. L’attività, denominata “Follow the money II” e coordinata dalla Dda di Catania, è partita dai documenti acquisiti durante le perquisizioni svolte dai militari lo scorso 10 febbraio. Quei controlli, tra l’altro, avevano portato al sequestro di oltre 1 milione e 900 mila euro in contanti.

Secondo la ricostruzione della Guardia di finanza – ha operato il Nucleo di polizia economico finanziaria di Catania e in particolare il Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) – a Basaldella la società che aveva da poco acquistato la proprietà di via della Roggia sarebbe intestata a prestanome ricondotti a persone che erano state arrestate a febbraio per concorso esterno in associazione mafiosa. Per questo è scattato il sequestro preventivo. L’area non era ancora operativa ma, stando agli elementi emersi durante l’indagine, avrebbe dovuto essere utilizzata nel settore della distribuzione di prodotti petroliferi.

In generale, i prestanome scelti dal clan Scalisi per riciclare i soldi sporchi provenienti dalle attività illecite erano tutti giovanissimi, poco più che ventenni, come emerge dall’inchiesta della Finanza. 

A Sofia, in Bulgaria, grazie alla collaborazione di Eurojust (l’unità di cooperazione giudiziaria dell’Unione Europea), come ha sottolineato la Dda di Catania, è stato eseguito «il sequestro delle quote e delle disponibilità della società di diritto bulgaro, parimenti riconducibile a due imprenditori catanesi» che, secondo l’accusa, agivano per conto del clan. 

Fonte messaggeroveneto.gelocal.it

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