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Lukoil, il petrolio russo made in Sicily e i timori dei lavoratori

PALERMO – “Lavoriamo regolarmente. Ad oggi non abbiamo subito penalizzazioni dalla guerra. Chiaramente monitoriamo la situazione”, dice Luigi Cappellani, che lavora all’ufficio relazioni esterne della raffineria Isab di Priolo Gargallo.

La raffineria siracusana fa integralmente parte del gruppo russo Lukoil – fu rilevata da Erg – ed è la terza in Europa in termini di lavorazione del petrolio. Inevitabile che si guardi alla guerra in Ucraina con preoccupazione sia sul fronte del caro benzina che su quello occupazionale.

Non è un caso che proprio Lukoil, che fa riferimento all’oligarca russo Vagit Alekperov, sia stato il primo colosso del settore a chiedere di “porre fine rapidamente” alla guerra. “Sosteniamo una rapida fine del conflitto armato e sosteniamo pienamente la sua risoluzione attraverso un processo di negoziazione e mezzi diplomatici”, ha spiegato il consiglio di amministrazione, esprimendo anche “la sua profonda solidarietà per tutti coloro che sono stati colpiti da questa tragedia”.

Una posizione netta contro la guerra da parte di un oligarca considerato da sempre molto vicino al Cremlino e al presidente Vladimir Putin. Il contraccolpo economico è stato fortissimo. Ecco perché si guarda con attenzione alle possibili ripercussioni siciliane.

A Priolo lavorano mille operai, altri 2.500 sono impiegati nell’indotto. Grazie al petrolio in quella parte a Sud Est della Sicilia vivono più di 7.000 persone.

La tranquillità mostrata da Cappellani deriva dal fatto che le sanzioni imposte alla Russia non colpiscono Isab srl. Pur essendo di proprietà di Lukoil si tratta di una società italiana controllata dalla svizzera Litasco che ne gestisce la parte commerciale.

A mostrare tranquillità è anche Sebastiano Accolla, segretario della Uiltec di Siracusa: “Gli impianti stanno lavorando a pieno regime, ma bisogna restare vigili perché un eventuale allargamento delle sanzioni potrebbe toccare anche il mondo Lukoil. Al momento, pero, siamo al riparo da tutto ciò”. Nessuno, però, può prevedere cosa accadrebbe se il conflitto andrà avanti a lungo. Le notizie giorno dopo giorno non sono rassicuranti.

Gli impianti al momento raffinano petrolio a pieno regime. Il grosso della lavorazione viene esportato. Il primo destinatario dell’export siciliano è l’Unione Europea, dove finisce quasi la metà del prodotto. Seguono l’Africa (22% circa) e il Medio Oriente (8,4%). Un giro di affari per una decina di miliardi di euro all’anno.

Una parte del greggio lavorato finisce nella rete di vendita diretta. Sono ormai tante sul territorio nazionale e siciliano le pompe di benzina a marchio Lukoil dove si sono registrate file per i rifornimenti come testimonia un video.

Guardando al contesto nazionale la raffineria della Isab (il direttore generale è il russo Oleg Durov, il suo vice è il siciliano Claudio Geraci) rappresenta circa il 20% del fabbisogno nazionale. Un dato che incide non poco.

Il tema caldo è se l’Italia possa fare a meno del petrolio russo, da cui l’Italia importa circa il 10% del greggio consumato. Ed ecco che la raffineria siracusana, di proprietà russa, diventa centrale nel rapporto fra import ed export.

La guerra è arrivata a complicare un quadro reso già precario dal Covid. E poi c’è la questione della transizione ecologica. Le società sono obbligate ala svolta green per sopravvivere. Un problema che riguarda circa 9 mila addetto nel settore. Per la riconversione servono e allo stato il settore è stato escluso dai fondi del Pnrr.

Fonte livesicilia.it – Articolo di Riccardo Lo Verso

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