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Milano, benzina a prezzi bassi e pompe bianche, la società Maloa assolta: «No evasione fiscale, sconti legali»

Al centro dell’inchiesta i benzinai no-brand che riescono a tenere il prezzo di diesel e benzina parecchio più basso rispetto ai distributori concorrenti. Maloa accusata di frode per 78 milioni. I giudici: sconti grazie a procedure legali

Come riescono i benzinai no-brand a tenere il prezzo dei carburanti più basso di dieci, venti centesimi e a volte anche di più rispetto ai distributori ufficiali delle compagnie petrolifere? Rifornendosi al mercato parallelo dei prodotti petroliferi che abbassa i costi accorciando la filiera e sfruttando strategie fiscali che possono essere del tutto legali, come ha stabilito una recente sentenza che ha assolto i rappresentanti di una società accusata di aver frodato il fisco per oltre 78 milioni.

Il mercato dei carburanti

Non è sempre così, perché dietro le forniture alle «pompe bianche» spesso si cela un mercato opaco degli idrocarburi. Secondo una stima fatta nel 2018 dall’Unione petrolifera, l’associazione che riunisce le più importanti aziende del settore, grazie all’importazione illegale dei carburanti, ogni anno in Italia viene evasa Iva per due miliardi. Un fenomeno che ha dato il via a molte inchieste della magistratura, come quella che nel 2019 ha riguardato a Milano la Maloa ltd che, però, ha dimostrato di operare correttamente. Si tratta di una società con sede legale a Malta alla quale un rapporto della Guardia di Finanza di Roma aveva addebitato di aver evaso tasse e non versato, tra il 2016 e il 2017, Iva per milioni di euro grazie alla esterovestizione. Secondo l’ipotesi investigativa, infatti, la Maloa ltd aveva allestito una «stabile organizzazione» aziendale che sarebbe stata totalmente nascosta all’erario. In questo modo, invece di pagare le tasse in Italia le avrebbe pagate all’estero risparmiando parecchio.

Maloa ltd

In particolare, per la Procura di Milano, la società, in relazione al 2015, non avrebbe presentato la dichiarazione dei redditi su un giro d’affari di 31,2 milioni di euro per il quale avrebbe dovuto pagare 8,6 milioni di Ires. Per la stessa annualità avrebbe omesso di versare iva per 917 mila euro. L’anno successivo — sempre secondo la tesi dell’accusa — avrebbe dovuto dichiarare un imponibile pari a 164,3 milioni di euro e pagare tasse per 32,4, milioni di euro, oltre a versare Iva per 36,1 milioni. La Procura ha chiesto condanne per frode fiscale fino a due anni di carcere per i due rappresentanti della Maloa ltd che risiedono a Milano, ma al termine del processo gli imputati sono stati assolti «perché il fatto non sussiste» dal giudice monocratico della terza sezione penale del Tribunale Nunzio Daniele Buzzanca, secondo il quale la Maloa ltd operava effettivamente dall’estero, specificatamente dalla succursale della Svizzera, Stato in cui pagava le tasse legate alla sua attività nel settore petrolifero.

«Reverse charge»

I legali degli imputati, gli avvocati Alice Falconi e Gabriele Minniti, hanno provato, infatti, che in territorio elvetico c’è «il centro nevralgico degli affari» della società, ci sono gli uffici, i mezzi e i dipendenti che curano i rapporti con i clienti italiani. Nessuna evasione dell’Iva, perché con il meccanismo della «reverse charge» dovevano pagarla proprio i clienti italiani. 

Fonte corriere.it – Articolo di Giuseppe Guastella

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